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Storia di un bar e di un Negroni nato per sbaglio - Intervista a Mirko e Maurizio Stocchetto

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Mirko Stocchetto, Bar Basso, Milano

È scomparso ieri Mirko Stocchetto, mitico barman del Bar Basso di Milano, inventore del Negroni sbagliato e di molti altri cocktail. Un padre della miscelazione moderna, che ha avuto l'intuizione, alla fine degli anni '60, di portare l'arte dei cocktail dai grandi alberghi al bar di strada. Ho avuto la fortuna di conoscerlo ed intervistarlo, assieme a suo figlio Maurizio, la scorsa estate, per il numero speciale di A Tavola di ottobre. Ecco l'intervista pubblicata meno di due mesi fa. Al figlio Maurizio, le più sentite condoglianze.

Ho appuntamento con Mirko Stocchetto al Bar Basso, in una caldo mezzodì di inizio luglio. Arriva accompagnato dalla figlia Roberta, mentre Maurizio, figlio e barman, è già seduto ad uno dei tavolini affacciati su via Plinio. 
Classe 1931, Mirko ha il fisico segnato dall'età, ma lo spirito è quello di un tempo. Ordina un Mirketto - pochissima vodka in un bicchiere di succo di pompelmo – mentre si accende una delle 25 sigarette giornaliere. “Sa, ho le sigarette personalizzate. – dice con un sorriso che si fa ghigno – Fumo solo MS: Mirko Stocchetto”.

Ha cominciato a fumare presto?
Non avevo dieci anni. Eravamo ancora in guerra. Abitavo a Venezia, e andavo a raccogliere le cicche attorno all'Hotel Monaco, che era requisito dagli ausiliari tedeschi. Lì ho cominciato a fare piccoli lavoretti. Poi sono passato all'Harry's Bar, che era nella stessa calle (calle Vallaresso, nda).
Lì ho preparato i primi cocktail. Con le pesche bianche e lo spumante preparavamo il Bellini. Poi, nel 1946, con Renato Hausammann, un barman dell'Harry's Bar, siamo andati a Cortina, a lavorare all'Hotel Posta. 

Come era Cortina ai tempi?
Era un posto pazzesco, frequentato da nobili, vip, intellettuali, grandi famiglie di imprenditori. Lì ho conosciuto Hemingway, ma anche Luchino Visconti, Montanelli, Soldati, gli Agnelli, i Barilla, Gassman, Mastroianni. Nel 1956 ci furono le Olimpiadi. Nel 1962 girarono anche un film della Pantera Rosa, con Peter Sellers e Claudia Cardinale. I pittori, ricordo Sironi, De Pisis, spesso pagavano parte dei conti con le loro opere. Era un mondo variopinto, che faceva molta vita mondana. Io lavoravo al bar, ma spesso mi chiamavano anche nelle loro ville private, per monumentali catering.

La decisione che cambia la sua vita però è stato rilevare il Bar Basso a Milano. Come è successo?
L'idea era di trasferirsi verso Venezia, ma un certo Attilio Orlandi, che commercializzava Champagne a Cortina e a Milano, mi disse che c'era questo bar in vendita, e quando ha saputo che ero intenzionato a trasferirmi mi ha messo in contatto. Era il 1967. Allora Cesare Acquarone, che aveva un appalto sui dazi d'Italia e aveva fondato a Cortina un aeroporto che collegava la cittadina a Milano, Saint Moritz, Venezia, mi regalò un pacco di biglietti per muovermi tra Cortina e Milano e perfezionare la trattativa. Si viaggiava con piccoli aerei bimotore canadesi. Povero Acquarone: l'anno successivo fu ucciso da sua moglie ad Acapulco. Fu un grande giallo dell'epoca. 

Mirko Stocchetto, Bar Basso, Milano

L'idea di abbandonare la miscelazione d'albergo per un bar di strada era allora una vera novità. Perché fece questa scelta?
Dopo venti anni a Cortina, volevo aprire un bar per conto proprio, avevo l'età giusta per farlo e la giusta esperienza. Nella Milano d'allora non c'era alcuna tradizione di miscelazione: i cocktail si bevevano soltanto nei grandi alberghi. Nessuno conosceva il Martini Cocktail, il Bloody mary, il Manhattan, il Mary pickford. Ma c'erano i soldi e tanta curiosità. E il posto era così conosciuto che nel numero di Panorama del maggio 1968 – quello con la Primavera di Praga in copertina - c'era un servizio di tre pagine su due barman (l'altro era Renato Hausammann, nda) di Venezia che prendevano il bar Basso a Milano. 


Mirko Stocchetto, Bar Basso, Milano

 

Come era allora questa zona di Milano?
Era un quartiere borghese, ricostruito dopo la guerra. Venivano in molti. Il club di Celentano si vedeva spesso, perché la sala di registrazione era vicino al bar Basso.

Come è cambiato il modo di proporre i cocktail da Cortina a Milano?
Maurizio: Mio padre ebbe la capacità di leggere e anticipare il mercato. È stato il suo colpo di genio. Non poteva portare la miscelazione d'albergo così come era. Ha fatto molte cose nuove. Anche perché il trasferimento ha coinciso con la grande rivoluzione culturale del 1968 e la prima emancipazione femminile. Dall'esperienza di Venezia e Cortina, dove lo Champagne era bevuto a fiumi, ha portato tutta una serie di cocktail con questo vino. Ma ha realizzato anche le versioni con lo spumante, per differenziare i costi. Ha inventato centinaia di cocktail, giocando sulle sfumature. Ogni due o tre giorni, usciva un cocktail nuovo.

Lavoro di ispirazione? 
Macché, grande pratica. I cocktail nascevano davanti al cliente. E se aveva una sua coerenza e funzionava, gli si dava addirittura il nome per renderlo catalogabile e replicabile. Così è nato il Rossini, attorno al 1968, con Champagne e fragole, e la sua versione col Prosecco, chiamata Fragolino. È nato il gelato Mangia e bevi: crema nocciola, liquore al cioccolato e zabaione, cherry brandy. O il Perseghetto, versione del Bellini con lo spumante al posto dello Champagne. Ma per dargli una sua dignità, ho aggiunto la vodka e una punta di vermouth dry.

E il famoso Negroni Sbagliato, nato per errore. 
Maurizio: Campari, Vermouth e spumante al posto del gin. Ovvio che potesse prendere piede, anche in un pubblico femminile. Ma la storia dell'errore - ossia lo scambio fortuito di una bottiglia di gin con una di spumante - è solo una favola. Sbagliare un Negroni davanti al cliente sarebbe stato follia, un vero harakiri. In realtà, è stata una variante di papà, come molte altre. E il nome, una geniale idea di marketing. Questo cocktail è diventato molto conosciuto a partire dalla fine degli anni '80. Ma mio padre non lo considerava molto, lui beveva Negroni. 

Negroni, Mirko Stocchetto, Bar Basso, Milano

Un altro simbolo del Bar Basso sono i suoi grandi bicchieri.
Avevo un cugino che lavorava a Murano, gli ho commissionato tutte le coppe speciali che abbiamo utilizzato in questi anni. Alcuni bicchieri li usava già il signor Basso, ma io li ho raffinati. La Coppa dell'amicizia in cui servo il Negroni con il grande blocco di ghiaccio è diventato la nostra immagine. D'altra parte, quando ho cominciato qui, era difficile trovare i bicchieri adatti. Avevo bisogno di una serie di bicchieri di diverse fogge per le varie esigenze. Me li sono dovuti creare.

Usate i misurini al Bar Basso?
Mai entrati. È come se un ciclista mettesse le rotelline per non cadere. Il cocktail è questione di polso e di esercizio. Se ogni sera usi gli stessi strumenti e bicchieri, il cocktail lo puoi fare a occhi chiusi e non lo sbagli.

C'è una bella foto, nel bar, con Pertini seduto allo stesso tavolino in cui siamo seduti noi ora. Che ricordi ha di quel giorno?
È venuto nel 1980, ha preso un Punto e Mes, e lo ha pagato. È arrivato di sorpresa. Ma nel quartiere si è propagato un tam tam velocissimo e in poco tempo la piazza si è riempita di persone che volevano salutarlo e vederlo.

Pertini, Mirko Stocchetto, Bar Basso, Milano

Negli ultimi anni il Bar Basso è diventato un punto di riferimento per la Milano della moda e soprattutto del design. Come è successo?
Maurizio: Dalla fine degli anni '80 ha cominciato a gravitare attorno al bar la comunità internazionale del design che passava da Milano. Nel frattempo, molte aziende del lusso e dei casalinghi hanno cominciato ad interessarsi al mondo dei cocktail, e diversi designer hanno usato il nostro bar come laboratorio per studiare nuovi oggetti. È una clientela che ci piace, sofisticata, che gira il mondo. Ci onora. 

Quali sono i cocktail più bevuti al Bar Basso?
Maurizio: Il Negroni Sbagliato ha monopolizzato gran parte del nostro lavoro. E se da una parte è stato per noi uno strumento di comunicazione incredibile e ci ha messo su una mappa mondiale, è anche vero che è più bello quando un cameriere parte con un vassoio di cocktail uno diverso dall'altro. 

Mai ceduto alla moda dell'happy hour?
Maurizio: Non abbiamo manco la cucina. Il mangiare è una cosa molto seria, e il bar non può essere un ristorante a buon mercato. 

E la tendenza attuale di riproporre vecchie ricette?
Maurizio: Io sono stato molto fortunato, perché ho conosciuto tutti i grandi barman italiani. Le cose che facciamo al bar non le abbiamo lette su internet, ma acquisite da grandi maestri. È un mondo che è scomparso. Ora, che il barman sia interessato alla storicità dei cocktail è un bene. Ma bisogna sempre contestualizzare. È come se nell'arte prendessimo la Venere di Milo come canone della bellezza universale. Trovo che alcuni barman siano carenti di ironia, finendo per diventare autoreferenziali. Bisogna sempre guardare come il mondo come cambia attorno. E il bar senza persone è solo una scatola vuota.

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