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L'alimentazione è come l'universo: non ha fine

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In occasione dei 60 anni di Renato Marcialis si terrà a Milano, dal 20 al 22 maggio la mostra “Caravaggio in cucina”.

60 fotografie che verranno presentate presso lo studio Renato Marcialis in via Giacomo Watt 10, dalle 10,30 alle 19.00, a Milano, luogo in cui il progetto ha preso forma e dove il pubblico sarà accolto nelle ambientazioni fatte di oggetti ricercati e di antiquariato della gastronomia italiana, luci, atmosfere e colori che hanno fatto da culla queste opere più che da mera cornice.

Renato Marcialis e Caravaggio: come è nata questa coppia?

Quando ho realizzato la mia prima immagine ero spettatore di me stesso. Tutt’ora lo sono, ma lo stupore che ho provato vedendo il primo risultato è stato unico: ero di fronte ad un dipinto, mancavano solo i tratti lasciati dal pennello ma per il resto mi sentivo di fronte ad un quadro. Per la precisione un quadro fiammingo. Poi ho realizzato: ma perché rifarsi ai pittori fiamminghi? Abbiamo il grande Michelangelo Merisi in casa, perché non aggrapparsi a questo artista unico. Così è nato “Caravaggio in cucina”.

…un confronto audace

Senza nessuna pretesa. Qualunque persona intelligente capisce che si tratta di un gioco di parole: non voglio in alcun modo paragonarmi a Caravaggio. Il titolo è ironico, anche per sdrammatizzare la serietà dell’argomento trattato.

Come dice lei, il cibo è un argomento serio. Come nascono le sue fotografie? In base a cosa sceglie i suoi soggetti?

Intanto c’è da dire che sono 40 anni che mi muovo nella gastronomia: l’alimentazione è casa mia. La cosa che mi affascina tutt’ora è che l’alimentazione è come l’universo: non ha fine, non basta una vita per vedere, conoscere a apprezzare la varietà di prodotti che la natura ci mette a disposizione. La tecnica poi gioca un ruolo importante: questi 40 anni mi hanno portato ad un alto livello di padronanza delle tecniche fotografiche che, abbinate ad una vera cultura del settore gastronomico, mi portano a sentirmi quasi obbligato a trasmettere le emozioni che i prodotti gastronomici ancora sanno trasmettermi.

renato marcialis

Mi tolga una curiosità: le sue fotografie nascono prima nella sua testa o sono ispirate dall’ingrediente che si trova di fronte di volta in volta?

I frutti della terra mi parlano, e le mie fotografie hanno un legame inscindibile con la terra. I miei scatti nascono nelle Marche, un luogo per me magico, sia per quanto riguarda i prodotti che regala che per le persone che ci vivono: malgrado un carattere solitario, stare in compagnia per me è una ricchezza unica. Gli ingredienti che seleziono per i miei scatti li ritrovo negli orti degli amici o nelle aziende locali di frutta e verdura. La mia missione, se così possiamo definirla, è anche quella di creare una nicchia di protezione per questi prodotti, accentuando la loro importanza.

Insomma, dietro i suoi scatti c’è anche un’idea di eco-sostenibilità e di protezione degli ingredienti

Sì, nel mio piccolo cerco anche di fare informazione. Le faccio un esempio. Lei ha mai visto la pianta dei ceci? Qualcuno la conosce? Neanche io la conoscevo e una volta vista sono rimasto a bocca aperta per quanto è bella: ha dei baccelli che ricordano il bozzolo di una farfalla, contenenti ciascuno due ceci. Inoltre vado in cerca di prodotti di origine controllata, come le fantastiche cipolle di Castelleone di Suasa. Quindi sì, la mia missione è anche quella di fare anche cultura. Nel paese dove mi appoggio, a Fratterosa in provincia di Ancona, c’è ad esempio una fava fantastica (la favetta di Fratterosa, ndr) con proprietà organolettiche uniche.


Tornando alla mostra, come ha scelto le foto da esporre a “Caravaggio in cucina”?

Non ho seguito un processo particolare, perché sono tutte fotografie che mi trasmettono ogni volta qualcosa di nuovo, c’è sempre un particolare che sfugge e alla visione successiva si rivela. Questo è divertente, piace a me e a chi guarda le mie fotografie, quindi per il momento non c’è l’esigenza di creare percorsi particolari o scegliere una foto piuttosto che un’altra: finché continuerò, e continueranno le persone che vedono i miei scatti, ad essere meravigliato dai dettagli che questi nascondono, andrò avanti così. C’è una fotografia che più di altre esprime questo concetto: quella del mazzo di salvia; preso nel suo insieme questo mazzo appare omogeneo e uniforme, ma ad un occhio attento ogni foglia rivela qualcosa di diverso, oltre a piccolissimi insetti che abitano il mazzo e che pochi riescono a vedere. Questo processo di scoperta continua è rappresentativo del senso profondo delle fotografie che propongo.

Passiamo al lato tecnico. Lei utilizza la “luce pennellata”. Di che si tratta?

Quando scatto sono in penombra, quasi al buio. Compongo il mio set fotografico, apro l’otturatore della macchina fotografica e comincio ad illuminare il soggetto a mano libera, anche col semplice utilizzo di una torcia elettrica. Possiamo sintetizzare così quello che faccio: al posto di un pennello intriso di colore io utilizzo un pennello di luce.

Non c’è post-produzione nei suoi scatti? Non utilizza Photoshop?

Assolutamente no: non ho bisogno di creare effetti sbalorditivi. Certo Photoshop o altri programmi mi aiuterebbero a creare effetti ancora più accentuati, ma nelle mie fotografie non c’è post-produzione. Molte persone mi hanno visto all’opera e il commento finale è stato sempre lo stesso: “Se non avessi visto non avrei creduto!”


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