Ma mettiamo un po’ d’ordine.
Valeria è ricercatrice. Vero, perché racconta del progetto del quale è direttrice come di un’azienda agricola sperimentale che, in collaborazione con Regione Lombardia e Legambiente, ha l’obiettivo di ridare vita ad alpeggi un tempo aree agricole floride e oggi in stato di abbandono.
Valeria è chef. Vero anche questo; infatti la riqualificazione del territorio è connessa al linguaggio universale della cucina, per giungere a tutti i palati e raccontare una storia di sostenibilità e sensibilità fuori dal comune.
Già perché Valeria è decisamente fuori dal comune; fuori da ingredienti standard, da canoni del gusto, da regole di “buona cucina”. Gli alpeggi dove opera insieme al team di Wood*ing traducono con straordinaria sincerità la voglia di vivere in simbiosi e scambio sostenibile con ambienti dimenticati: è la riscoperta dell’alimurgìa, questa scienza ormai sconosciuta ai più che fino alla fine del XIX secolo studiava la possibilità di nutrirsi di piante selvatiche, per motivi salutistici ma anche legati a carestie o carenze economiche. Gli alpeggi vengono coltivati con piante generate da semi selvatici fatti crescere in speciali serre dove Valeria ha messo in piedi “impianti acquaponici”. Di che si tratta? In poche parole un impianto acquaponico utilizza l’acqua di scarico di vasche dove sono allevati pesci autoctoni (contenente concime naturale dei pesci) per irrigare speciali ambienti di crescita delle piante, privi di terra. L’acqua è ricca di sostanze nutrienti grazie ai batteri presenti al suo interno; batteri che trasformano le sostanze di rifiuto in sostanze utili per le piante. A questo punto gli scarti della serra vengono utilizzati per nutrire i pesci, dando vita a cicli continui e sostenibili.
Ma, come detto, il legame con la cucina è forte. Valeria presenta a Identità Golose un piatto, anche se è più corretto parlare di un’esperienza. L’ingrediente principale è una trota (i pesci – rigorosamente autoctoni – sono ingredienti molto importanti per Valeria) che viene eviscerata, essiccata e pressata per facilitare la fuoriuscita del grasso e quindi una conservazione migliore. La trota in questione ricorda il più famoso Missoltino, pesce tipico del Lago di Como, che però viene lavorato intero e, una volta essiccato, presenta un sapore più deciso e pungente. La trota proposta da Valeria viene quindi reidratata con latte di capra crudo e muschio quercino, nuovamente pressata e leggermente affumicata.
Il muschio quercino (in realtà un lichene), merita qualche parola. Sì perché, come tutti i licheni, è un alimento completo, ricco di proteine, carboidrati, minerali e vitamine. In particolare, il muschio quercino tende a esaltare profumi e aromi dell’ingrediente al quale viene avvicinato.
La trota viene accompagnata con “Ruscus aculeatus” (nome scientifico del più comune pungitopo), il quale subisce un processo di lattofermentazione, una serie di passaggi che permette di sviluppare batteri “buoni” a scapito di quelli “cattivi” o patogeni, ma anche di arricchire l’ingrediente trattato di anti-ossidanti e vitamine, elementi importanti per una sana alimentazione.
Al pungitopo così trattato si accostano altre due piante (con rispettivo fiore) particolari: il “Dente di cane”, una pianta che regala un fiore dal sapore di mandorla dolce, e l’“Aglio Orsino”, parente stretto del più comune aglio che utilizziamo tutti i giorni in cucina (ma che presenta una caratteristica vincente: non lascia segni del suo passaggio!).
Il piatto viene completato da Radici di Bardana, Tarassaco e Cicoria selvatica, tutti cotti e fermentati: ingredienti che così trattati donano un sapore che ricorda il cioccolato ma dalle punte sapide.
Insomma i ragazzi del progetto Wood*ing creano menù degustazione per rendere piacevole e più accessibile una materia complicata, per fare cultura su elementi che, inconsapevoli, calpestiamo tutti i giorni e riportare alla luce un ricchissimo mondo sommerso dall'oblio in cui è precipitato.